Proseguiamo con il brano conclusivo del Cap. V sui meccanismi di una corretta emissione monetaria da parte dello Stato:
L’impresa costruisce il ponte a beneficio dell’intera comunità.
La comunità debitrice consegna al titolare dell’impresa un attestato
cartaceo che dice: tu hai costruito il ponte. Con questo documento,
la certificazione del lavoro da te svolto, ti riconosciamo un credito di
tot milioni.
Il ponte, non il denaro, è la ricchezza che proviene dal lavoro
umano: i soldi sono solo la contabilizzazione di quel lavoro.
L’impresario prende il documento e lo divide in tanti piccoli
certificati del lavoro svolto che distribuisce tra i suoi mille operai: è
la retribuzione dovuta ad ognuno di loro.
Con questi documenti, che in mano loro diventano un titolo di
richiesta per ottenere beni reali e servizi, gli operai si rivolgono alla
comunità debitrice e li scambiano con pane, frutta, una visita
medica o un automobile.
Quei biglietti di carta sono denaro.
Denaro è qualsiasi simbolo accettato per la compravendita di beni e
servizi.
Quegli attestati emessi dalla comunità, lo Stato, sono moneta
creata a costo zero, senza bisogno di nessuna riserva di favolosi
lingotti d’oro stipati in qualche sotterraneo superprotetto: l’inganno
fissato nelle nostre menti da cinema, Tv e giornali.
L’oro è un luccicante inganno.
Per emettere moneta non c’è bisogno di nessuna riserva aurea. La
moneta non esiste in Natura: è una finzione, un titolo, un concetto,
una fattispecie giuridica, una invenzione della mente umana, e
come tale, non può scarseggiare.
Il documento emesso dalla comunità contabilizza il lavoro umano,
lo monetizza, manifestandolo in un simbolo, ne misura il valore: il
ponte vale tot milioni.
È denaro basato sulla fiducia, sul credito reciproco e sulla
convenzione.
FIDUCIA perché l’impresario in cambio del ponte accetta un foglio
di carta, non un bene reale, fidandosi e facendo credito alla
comunità che lo emette.
Gli operai, in cambio del proprio lavoro accettano un biglietto di
carta, fidandosi e facendo credito al datore di lavoro, confidando
che domani qualcuno darà loro beni reali in cambio di quel biglietto,
facendo loro credito.
Il panettiere dà pane in cambio di un foglio di carta: fa credito agli
operai, fidando di poter domani cambiare lo stesso biglietto con un
paio di scarpe.
Lo scambio si può considerare concluso quando tutti hanno in mano
il bene reale desiderato, non un biglietto di carta.
I componenti della comunità si fanno l’un l’altro CREDITO
RECIPROCO, forti della fiducia riposta nell’accordo precedentemente
siglato tra tutti di accettare quel biglietto come mezzo di scambio.
Quel biglietto prende valore di denaro per CONVENZIONE: ci siamo
messi d’accordo di utilizzarlo come unità di misura del valore e
mezzo di scambio.
La convenzione ha valore per la certezza del Diritto, in quanto
ribadita dall’autorità dello Stato (sempre noi) che ne fa una
fattispecie giuridica dicendo: questo simbolo cartaceo è la vostra
moneta legale, la valuta ufficiale del Paese. Verrà accettata in
pagamento di tasse e debiti.
Qualsiasi simbolo è la rappresentazione visiva di qualcosa di
invisibile, la manifestazione materiale di un qualcosa di
immateriale: il messaggio che si vuole trasmettere.
Prendiamo una banconota da centomila lire e una da cento euro.
Nonostante entrambe siano materialmente integre, le centomila lire
non hanno più valore perché è venuta a mancare la componente
immateriale, quella che dà valore al simbolo: la convenzione,
trasferita nel biglietto da cento euro, ora dichiarato e accettato da
tutti come nuova valuta ufficiale del Paese.
Fiducia, credito reciproco e convenzione sono le componenti
immateriali che danno valore al denaro, tutti concetti frutto di
attività spirituali della mente umana.
Nessuna ingannevole riserva d’oro.
È sufficiente l’accordo, la convenzione di un certo numero di Esseri
Umani Sovrani che vivono in comunità unite da sentimenti di
affetto e solidarietà (non società divise dagli interessi individuali dei
soci) per una loro necessità interiore: socializzare coi propri simili.
Solo in siffatte comunità possono trovar spazio circolarità del dono
e credito reciproco.
Abbiamo inventato un ente virtuale, una finzione chiamata Stato,
per trarne vantaggi, materiali e non: per stare meglio.
Tutti collaboriamo per il bene comune: ogni membro che svolga un
lavoro utile per la comunità, verrà da questa, in qualche modo,
ricambiato.
Per evitare di annotare contabilmente ogni minimo cambiamento
tra chi deve avere e chi deve dare, si fanno circolare dei biglietti
convenzionalmente accettati da tutti, che tengono la contabilità
aggiornata in tempo reale. Andiamo a rileggere per intero
l’illuminante citazione di Thomas Greco riportata nell’introduzione al
libro :
“Pensa all’economia di mercato come ad un giuoco di mettere e
prendere … Il denaro, quindi, è un sistema contabile.”
Già nel 1914 due economisti, naturalmente eretici, Hugo Bilgram e
Louis Levy, ci ricordavano:
“Se non ci fosse denaro, qualsiasi sistema di accredito ai venditori e
addebito ai compratori potrebbe svolgere completamente il lavoro
svolto dal denaro.”
Chi è in possesso di cartamoneta è perché ha già dato e vanta ora
un credito che gli verrà saldato alla presentazione di quel titolo di
richiesta di beni reali. Quel biglietto è diventato un contenitore di
valore con potere d’acquisto.
All’interno della società civile gli operai possono barattare il frutto
del proprio lavoro con quello di panettieri e altri produttori grazie al
credito reciproco che si fanno l’un l’altro, e grazie
all’intermediazione di un documento contabile (emesso dalla
comunità col solo costo di carta e penna) che sposta nel tempo la
conclusione dello scambio.
Se avete notato, nell’esposizione di ciò che è il denaro non c’è stata
nessuna necessità di coinvolgere le banche.
Cosa hanno a che fare dei banchieri privati con tutto ciò?
Nulla, assolutamente nulla.
È la comunità nel suo insieme che crea ed emette il valore
monetario. I soldi per coprire tutte le spese possono essere emessi
solo dallo Stato, l’ente virtuale rappresentante la comunità: mai e
poi mai dalle banche private.
Quando ciò avviene, le conseguenze sono lusso per pochi e
sofferenza e miseria per tutti noi.
La situazione che stiamo vivendo.
Lo Stato, ente virtuale creato da noi con l’unico scopo di migliorarci
la vita, deve battere moneta per coprire tutte le spese necessarie a
far star bene la popolazione. La favoletta del buon padre di famiglia
che non può spendere più di ciò che ha, continuamente rievocata,
può essere raccontata agli ingenui, grandi e piccini. In
macroeconomia le cose funzionano diversamente. Lo Stato, per
spendere, non deve attendere lo stipendio: è proprietario di tutte le
risorse all’interno del territorio nazionale e può monetizzarle,
assieme al necessario lavoro di trasformazione.
Lo Stato batte moneta.
Punto.
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