Chiudo questa serie di post sulle TASSE NON DOVUTE riproponendo il settimo capitolo del libro in immagine.

Il dogma delle tasse da pagare è senza dubbio il più difficile da
scardinare perché profondamente radicato nella coscienza
collettiva. Anche persone di cultura superiore che hanno piena
consapevolezza dei Poteri dominanti dietro le illusioni democratiche
e del determinante condizionamento esercitato dallo strumento
monetario, hanno difficoltà ad accettare la sconcertante verità che
le tasse non sono dovute. É troppo destabilizzante per poter essere
assimilata e accettata senza comprensibili resistenze. Lo status
sociale imposto verrebbe completamente stravolto, e la
comprensione dell’inganno farebbe scoppiare una rivoluzione
spontanea.
Il lettore giunto a questo punto del libro, una volta metabolizzato il
concetto che la moneta legale a corso forzoso non coperta da
riserva aurea è solamente un documento contabile di cui si fa un
uso distorto a vantaggio di interessi privati, ha già acquisito tutte le
nozioni necessarie a comprendere perché le tasse non sono dovute.
Scusandoci per la ripetizione di concetti già esposti (repetita
juvant), non ci rimane che procedere sinteticamente verso
l’inevitabile conclusione che non c’è nessuna necessità di rapinare i
cittadini con tasse e tributi in denaro per amministrare una
comunità di persone.
Per avere una visione chiara dell’inganno del prelievo fiscale,
evitiamo di farci impantanare in dettagli insignificanti e fuorvianti
da malintenzionati con le peggiori intenzioni. Stiamo parlando
dell’organizzazione sociale di una comunità locale, nazionale o
internazionale. All’origine di ogni progetto ci deve essere un piano
formativo ideale dal quale poi far discendere quelle che saranno le
applicazioni pratiche che permettano di realizzarlo. Il problema qui
da risolvere è quello di dotare la comunità di un mezzo di scambio
che permetta lo sviluppo armonico di una onesta economia che
consenta la produzione, distribuzione e consumo delle merci
prodotte.
Tra le necessità primarie di una comunità c’è indubbiamente quella
di dotarsi delle infrastrutture indispensabili alla vita sociale: strade,
scuole, ospedali e tutta quella serie di edifici pubblici e servizi atti a
facilitarci la vita.
L’autosufficienza è la premessa indispensabile della libertà: un
popolo autosufficiente è un popolo libero. Pertanto, per evitare
pericolose dipendenze da terzi, ogni problema incontrato nel
cammino deve essere possibilmente risolto all’interno della
comunità locale o nazionale e, solo ove impossibile, ricorrere a
quella internazionale.
Come abbiamo visto con l’esempio della costruzione di una
infrastruttura come il ponte, i lavoratori eseguono l’opera e la
classe politica contabile li retribuisce con il certificato del lavoro
svolto spendibile all’interno della comunità in virtù della
convenzione precedentemente siglata. In questo modo i debiti e i
crediti tra chi deve dare e chi deve avere si compensano per
completo all’interno della comunità grazie all’intermediazione di un
documento contabile altrimenti chiamato denaro. Questo
riconoscimento di un debito che il debitore consegna al creditore,
nelle cui mani si trasforma in titolo di richiesta di beni reali e
servizi, può e deve essere creato a costo zero dalla classe dirigente
eletta, con l’impiego di carta e penna o digitando input in un
computer. Senza necessità alcuna di aiuti esterni da parte di
chicchessia.
Ora, se con le suddette modalità si costruiscono tutte le
infrastrutture necessarie e si retribuiscono tutti i dipendenti pubblici
indispensabili a portare avanti l’ordinaria amministrazione della
comunità, non si vede la necessità di chiedere un contributo anche
in denaro ai suoi membri, dopo che questi hanno già contribuito
con il proprio lavoro.
Credo che ci sia ben poco da controbattere, se non da parte di
coloro che vogliono di proposito porre degli ostacoli alla nostra
autosufficienza e alla libertà che ne consegue.
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